lunedì 29 febbraio 2016

Recensione: "Le anime bianche" di Frances Hodgson Burnett

Titolo: Le anime bianche
Titolo originale: The White People
Autore: F. H. Burnett
Editore: Panesi Edizioni
Data di pubblicazione: 23 dicembre 2015
Pagine: 79
Prezzo: 1,99 € (ebook)

Trama:
Ysobel è una ragazzina timida e minuta che non ha mai conosciuto i genitori e vive, assieme ai tutori Jean Braidfute e Angus Macayre, in un castello dall'aspetto austero immerso nella desolata brughiera scozzese. Fin dall'infanzia, la bambina mostra di essere dotata di un "dono" che la rende diversa da tutti gli altri: ella ha il "potere di vedere oltre le cose" e di entrare in contatto con le anime dei defunti, ormai libere dalle sofferenze e dalle paure dell'esistenza.

Recensione:
Frances Hodgson Burnett con questo libro ci trasporta nelle misteriose e affascinanti atmosfere dei paesaggi della Scozia.
Tra gli abeti sottili e le ginestre color dell'oro si erge il maestoso castello di Muircarrie, residenza della piccola Ysobel, la quale, dopo aver perduto prematuramente i suoi genitori, trascorre la sua giovane esistenza, dividendosi tra gli scaffali della biblioteca che tanto ama, e le passeggiate nella brughiera coperta dalla nebbia.
Non ha amici, se non i due tutori, Angus e Jean. Non ha parenti, se non i lontani zii che le fanno visita di tanto in tanto.
Nessuno che le faccia compagnia, nessuno con cui trascorrere le giornate.

Dico che forse quest'avventura sarebbe potuta capitare soltanto a me perché, se mi guardo indietro e osservo la mia vita, mi rendo conto che è sempre stata alquanto bizzarra. 
Quando anche chi si prendeva cura di me non riusciva a capire cosa stessi pensando, cominciai a chiedermi se fossi diversa da tutti gli altri bambini. 
Naturalmente questa distanza era dovuta per lo più alla posizione del Castello di Muircarrie, il quale sorgeva in una regione talmente remota e impervia della Scozia che quando i pochi parenti che avevo si sentivano in dovere di venire a rendermi visita, il viaggio da Londra o dai piacevoli luoghi nel sud dell'Inghilterra appariva loro quasi come un pellegrinaggio verso una terra selvaggia; e quando una persona coscienziosa portava un bambino a giocare con me, la piccola creatura civilizzata aveva paura di me quanto io ne avevo di lei. La mia timidezza e il timore della sua stranezza ci rendevano entrambi stupidi. 
Senza dubbio davo l'impressione di appartenere a una sorta di nuova specie di piccoli selvaggi inoffensivi, che non conoscevano altra lingua all'infuori della propria.

Eppure Ysobel è felice, nella campagna solitaria ha trovato la sua casa, nel silenzio l'amico fidato, nel fumo grigio, che tutto avvolge, il custode dei suoi segreti.
I giorni si susseguono l'uno dopo l'altro, senza grandi gioie e senza troppi scossoni, fino a quando, tra le colline, Ysobel incontra finalmente una bambina della sua età, Wee Brown Elspeth, la sua prima vera amica.
Il legame che si instaura tra le due ragazzine appare subito speciale. Non hanno bisogno di parole per capirsi, né di appuntamenti per incontrarsi.
Wee Elspeth è, agli occhi di Ysobel, diversa da tutti gli altri, un'anima pura, una creatura eterea e bellissima, unica nel suo genere.

I bambini che si divertono insieme non nutrono curiosità verso i propri compagni di giochi, e così fu per me. 
Accolsi Wee Brown Elspeth in maniera semplice, con grande gioia. 
In qualche modo sapevo che viveva felice in un luogo non molto lontano da quello in cui abitavo io. Sembrava che potesse andare e venire facilmente, senza fatica. 
A volte la trovavo - o lei trovava me - nella brughiera; e spesso appariva nel vivaio del mio castello. Quando eravamo insieme, Jean Braidfute sembrava preferire che restassimo da sole, ed era incline a tenere occupata la bambinaia in altre parti dell'ala del castello in cui vivevo. Non le ho mai chiesto di farlo, ma mi faceva piacere, e anche Wee Elspeth ne era felice. 
Dopo il nostro primo incontro si presentò vestita in morbidi abiti blu o bianchi, e la macchia rossa era sparita; tuttavia, si trattava sempre di Wee Brown Elspeth, la bambina con gli occhi da cerbiatta e il bel visino dalla carnagione chiara e un po' pallida. 
Allo stesso modo in cui avevo notato l'insolito, chiaro pallore che contraddistingueva quei rozzi soldati, mi resi conto anche della sua curiosa bellezza. E dato che talvolta avevo visto in altre persone lo stesso tipo di candore, pensai che si trattasse di una speciale purezza di carnagione riservata solo ad alcuni, non a tutti. Io non ero così chiara, così come non lo era nessun'altra persona che conoscevo.

Ma se Wee Elspeth riveste un ruolo importante nell'infanzia della nostra piccola protagonista, a far breccia nel suo cuore di giovane donna sarà invece uno scrittore dall'animo nobile, Hector MacNairn.
In lui troverà il complice di cui non sapeva neppure di aver bisogno, l'affetto e l'amore che per anni le era stato negato, una vera e propria nuova famiglia.
Solo lui sembra capirla fino in fondo, affascinato da tutti i suoi pensieri stravaganti, e da quelle che Ysobel definisce "le anime bianche"...


«Era uno di quei bei bambini che si vedono di tanto in tanto. I suoi tratti non ricordavano quelli della madre. Lei non gli assomigliava, non era affatto un'anima bianca, come lui.» «Anima bianca?», ripeté lui molto lentamente, dopo di me. «Credete non fosse caucasica, è questo che intendete dire, vero? Forse non capisco…» 
Quel suo tono mi intimidì di nuovo. Naturalmente non poteva sapere quello che volevo dire. Che cosa sciocca da parte mia dare per scontato che l'avrebbe fatto! 
«Vi chiedo perdono, l'ho dimenticato», dissi balbettando un po'. «È solo la mia maniera di riferirmi a quelle belle persone che si incontrano di tanto in tanto, quelle la cui bellezza sembra quasi evanescente. Non ce ne sono molte, naturalmente, ma non si può fare a meno di notarle quando camminano per strada o entrano in una stanza. Anche voi le avrete notate. Io le chiamo sempre, tra me e me, "anime bianche", perché sono diverse da noi. La povera madre non lo era, ma il bambino sì. Forse è per questo che ho guardato lui, all'inizio. Era un esserino così delizioso. Il suo candore lo faceva apparire fragile, e non ho potuto fare a meno di pensare…», esitai, perché mi sembrava quasi sgarbato finire. 
«Ha pensato che se lei aveva appena perso un bambino avrebbe dovuto fare più attenzione all'altro», concluse al posto mio. C'era una profonda premura nel suo sguardo, come se mi stesse guardando dentro. Mi chiesi perché. 
«Vorrei aver prestato maggiore attenzione alla piccola creatura», affermò, con molta delicatezza. «Ha pianto?» 
«No», risposi. «Si è solo stretto a lei, ha accarezzato la manica nera e l'ha baciata, come se volesse confortarla. Mi aspettavo piangesse, ma non lo ha fatto. Ha fatto commuovere me, perché mi sembrava così sicuro di poterla consolare, se solo lei si fosse ricordata che era vivo e l'amava. Vorrei… vorrei che la morte non facesse sentire le persone come se svuotasse di senso tutto il mondo e ciò che resta… come se, quando arriva, non ci fosse più vita altrove. Il bambino che era vivo al suo fianco non sembrava vivo per lei. Non contava.»

Il rapporto che lega Ysobel ad Hector non ha nulla del tipico rapporto uomo-donna. La loro intesa è dapprima intellettiva, poi affettiva.
Non vi è banalità nei loro discorsi, ma una stessa visione del mondo, della vita e della morte.
In più l'amore per la Scozia, per le lande desolate e i castelli abbandonati, che entrambi condividono, non fanno che rimarcare ulteriormente quella che è senza dubbio un'affinità elettiva.
Il modo con cui la Burnett descrive la loro relazione, è solo uno degli elementi che rende il libro diverso da tanti altri.
Non le solite storie d'amore basate su una forte attrazione fisica, non la solita protagonista, e non la solita trama.
Ysobel è una giovane donna che non ha paura di nulla, neppure dell'ignoto. È forte e decisa, non teme la solitudine né nessun'altra cosa.
È portatrice di un dono, pur non essendone consapevole. Sa leggere l'animo umano e comunicare con chi non può più proferire parola. Lei è il tramite fra due mondi che paiono non aver più nulla in comune.
La concezione dell'aldilà e delle cosiddette "anime bianche" è del tutto nuova e diversa da quello a cui siamo abituati. Non c'è nulla di spaventoso o crudele nella morte ma solo un naturale corso delle cose. I fantasmi non sono crudeli e vendicativi, né spiriti tormentati.
Tutto il racconto è intriso di filosofia, religione e superstizione, ed è proprio questa commistione di argomentazioni apparentemente inconciliabili, a rendere affascinante e appassionante il lavoro della celebre scrittrice inglese.
Un ruolo fondamentale lo giocano senza dubbio anche le suggestive descrizioni della brughiera avvolta nella nebbia, che creano una meravigliosa cornice per una vicenda fuori dal comune.
Un perfetto connubio tra poesia, mistero, erudizione e spiritualità che non potrà che conquistare i lettori.

Considerazioni:
Ho conosciuto questa scrittrice molti anni fa e non ci ho messo molto ad amarla.
Sono cresciuta con alcuni dei suoi più noti capolavori.
Sara Crewe, la protagonista de "La piccola principessa" e Mary Lennox de "Il giardino segreto" sono state le mie prime amiche letterarie.
Per questo, non appena mi è stata offerta la possibilità di leggere questo lavoro ancora inedito in Italia, non ci ho pensato due volte.
In realtà "Le anime bianche" ha molti punti in comune con i precedenti romanzi ma anche alcune caratteristiche che lo discostano molto da essi.
Ciò che rimane immutabile ed ineguagliabile è lo stile della Burnett che ho sempre adorato.
Le descrizioni così dettagliate, l'attenzione prestata ad ogni particolare, sia della scena, che della postura, della mimica e delle espressioni dei personaggi, rendono una qualsiasi sua pagina un vero e proprio capolavoro.
Indipendentemente dalla trama o dai protagonisti, posso dire che, già solo per il modo in cui è scritto, questo libro meriterebbe di essere letto.
Quello che invece fa di questo breve romanzo qualcosa di diametralmente opposto a tutto ciò che la Burnett aveva realizzato in precedenza, è proprio la tematica, che sceglie di puntare l'attenzione sul mondo ultraterreno.
La vicenda poi ha il pregio di essere ben calibrata, in quanto riesce a creare un confine sottile tra scienza e magia, tra razionalità ed inspiegabile.
Altra cosa che ho apprezzato molto è l'idea dell'amore vissuto più come affettività tra due anime affini, che come mera attrazione fisica.
E che dire poi della scelta della Scozia come scenario? Come immaginerete, più mi immergevo nella lettura, e più ero tentata di prenotare un biglietto di sola andata per la patria del whisky.
Unica pecca, devo ammetterlo, è la copertina, così dilettantesca da sembrare il risultato di un pessimo lavoro di photoshop da parte di un autore emergente.
Se l'avessi scorta per caso, non avrei di certo pensato ad un'opera di una celebre scrittrice ma piuttosto ad un romanzo autopubblicato.
Per fortuna questo piccolo particolare (non di scarsa importanza) non inficia affatto il valore di queste meravigliose pagine.
Per concludere non posso che consigliare questo libro a tutti coloro che desiderano viaggiare nel tempo e nello spazio, per inoltrarsi in un luogo sperduto e in un passato custode di memorie e misteri.

Ringrazio la traduttrice Annarita Tranfici per avermi inviato una copia di questo romanzo

il mio voto per questo libro

mercoledì 24 febbraio 2016

Recensione in anteprima: "Segreto di famiglia" di Mikaela Bley

Titolo: Segreto di famiglia
Titolo originale: Lycke
Autore: Mikaela Bley
Editore: Newton Compton
Data di pubblicazione: 3 Marzo 2016
Pagine: 334
Prezzo: 12.00 € (cartaceo) 2,99 (ebook)


Trama:
A Stoccolma è un freddo e piovoso venerdì di maggio, quando la piccola Lycke, di soli otto anni, scompare improvvisamente nel centro della città.
La rete televisiva nazionale si lancia subito sulla notizia e manda sul campo un’inviata specializzata in cronaca nera, Ellen Tamm. Chi ha visto Lycke per l’ultima volta? Chi sono i suoi genitori? 
Il padre e la madre di Lycke sono separati ed è stata la nuova moglie del padre ad accompagnare la bambina al centro sportivo, dove se ne sono perse le tracce. La donna, madre a sua volta da poco, racconta la sua versione dei fatti, ma ci sono delle zone d’ombra nella testimonianza. 
La tata che ha cresciuto la bambina è chiusa nel dolore. La madre di Lycke invece è imperscrutabile, soffre ancora il peso del divorzio e di una depressione post partum mai affrontata. Il padre, dal canto suo, non si dà pace. Nel frattempo Ellen si impegna in una ricerca spasmodica, nonostante la corruzione della polizia, i sempre più strani comportamenti dei genitori di Lycke e le frecciate velenose dei colleghi. Ma ha deciso di fare il possibile per fronteggiare la situazione da vera professionista, perché questo caso le ricorda da vicino ciò che conosce sin troppo bene: segreti di famiglia, bugie, inganni che la obbligheranno a confrontarsi con il proprio doloroso passato, mentre le speranze di ritrovare la bambina scomparsa si assottigliano… 

Recensione:
Mikaela Bley, nel suo romanzo d'esordio, sceglie di raccontare una storia in perenne bilico tra un thriller psicologico e un giallo investigativo. 
È un freddo e piovoso venerdì di fine maggio quando alla giornalista di cronaca nera Ellen Tamm viene affidato il compito di seguire il caso della scomparsa della piccola Lycke.
Il solo sentire, nella stessa frase, le parole "bambina"-"otto anni"-"scomparsa", porteranno a galla nella mente della nostra protagonista sentimenti mai risolti. Un passato doloroso che ha invano cercato di dimenticare e lasciarsi alle spalle.
Ed è proprio per riabilitare se stessa, dagli eventi di cui si colpevolizza, che la donna cerca di impiegare tutte le sue energie per risolvere questo caso. Ritrovare la piccola Lycke, e riportarla sana e salva all'affetto dei suoi cari, diviene il suo obiettivo principe.
Ma Ellen ben presto si rende conto che tutti, nella famiglia della bambina, hanno qualcosa da nascondere e che nessuno sembra avere la coscienza totalmente a posto. 
I genitori, separati ormai da tempo, hanno atteggiamenti strani e nessuno dei due sembra conoscere realmente la personalità e i sentimenti della bambina. Non sanno dire se era o meno felice, se aveva o meno problemi a scuola, o se avesse mai avuto degli amici.
Chloé, la nuova moglie del padre, sembra aver visto sempre Lycke come un ostacolo, un ospite indesiderato, un impiccio, più che come un membro della famiglia.
Mona, la tata, è l'unica persona che si è mai interessata della piccola e l'unica ha sofferto vedendola trascurata da due genitori troppo presi da se stessi per assolvere dignitosamente al loro ruolo.
Questi sono i personaggi principali attorno a cui ruota la vicenda, persone che possiamo conoscere sia osservandole da un punto di vista esterno: quello di Ellen e di chi assieme a lei ne commenta gli atteggiamenti, che dalla mente stessa dei diretti interessati. Infatti il racconto avviene in maniera analitica, come se fosse un breve resoconto delle varie ore e giornate che scandiscono le fasi della ricerca, e si sposta da un narratore all'altro, permettendoci di cambiare punto di vista.
Così oltre ad Ellen, siamo invitati ad entrare nei pensieri di tutte le altre protagoniste femminili che hanno popolato la vita di Lycke.
La narrazione, per una buona parte del libro (oltre metà) risulta avvincente e affascinante, spinge il lettore a interrogarsi e porsi domande. Incuriosisce e invita ad andare avanti con la lettura, perché si è interessati a volerne sapere sempre di più.
Ma, perché purtroppo c'è un ma, nella seconda metà della lettura, tutto sembra spegnersi e congelarsi. Il caso appare quasi completamente chiuso, restano solo da mettere i puntini sulle i (puntini anche troppo prevedibili), perciò, per la buona metà che resta e che separa il lettore dall'epilogo, l'autrice (non so bene per quale motivo) sceglie di trasformare il suo thriller/giallo in un romanzo rosa O.O
Così siamo obbligati a subirci le paturnie sentimentali della giornalista e a leggere qualcosa a cui non siamo interessati. 
Perché regola numero uno, che dovrebbe conoscere chiunque voglia cimentarsi in questo genere, è: non rompere il ritmo, non distruggere il pathos quando si è nella parte in cui tutto dovrebbe succedere. Invece qui, quando dovrebbe succedere tutto, non succede più nulla. 
Il caso è risolto con quello che, molto probabilmente, la Bley ha considerato un gran colpo di scena, ma che (almeno per quanto mi riguarda) non lo è stato affatto.
Una buona partenza, un bell'andamento calzante che purtroppo, sul più bello, subisce gli effetti devastanti di una frenata decisamente troppo brusca, dalla quale non riparte più. 

Considerazioni:
Se non hai letto questo libro e hai intenzione di farlo fermati qui! 
Ho ricevuto questo libro a sorpresa dalla casa editrice ed essendo abbastanza appassionata del genere ne sono stata contenta.
In questi giorni sto affrontando una lettura - "La ricetta segreta per un sogno" di Valentina Cebeni - che non mi sta entusiasmando particolarmente, e di cui avrò modo di parlarvi in seguito, un libro ben scritto, ma che non mi suscita nessuna emozione né voglia di proseguirlo... eppure piano piano sto portando a termine anche quello.
Così ho deciso di alternare a quella lettura poco emozionante una che probabilmente lo sarebbe stata di più... e quale scelta migliore se non un thriller?
Ed è così che ho cominciato a leggere "Segreto di famiglia", e devo ammettere che fino a ben oltre metà lettura ero più che soddisfatta della mia scelta.
Il romanzo è ben scritto e la storia risulta accattivante anche per il modo in cui è narrata: un resoconto dettagliato che scandisce le varie fasi della ricerca dal momento della scomparsa di Lycke, fino all'epilogo della vicenda.
La scelta di avere come protagonista una giornalista televisiva, anziché un agente della polizia, l'ho trovata originale e perfettamente in linea con i tempi attuali dove, lo vediamo ogni giorno, le indagini sui casi di cronaca nera sembrano effettivamente portate avanti più dai giornalisti che dagli organi di competenza.
Tra i componenti della categoria giornalistica poi, ovviamente, si possono trovare sia persone come la nostra protagonista Ellen Tamm, realmente interessata alle sorti della vittima, ma anche squallidi avvoltoi come il suo capo ed ex fidanzato Jimmy, esclusivamente interessato al profitto mediatico della notizia.
Come dicevo poco fa, la storia mi ha appassionata per gran parte del suo svolgimento ma, poco oltre metà volume, si è spenta e non si è più riaccesa.
Il rammarico più grande, e ciò che rimprovero maggiormente all'autrice, è sostanzialmente il fatto di aver relegato la piccola Lycke nello sfondo.
Non ci ha mai dato modo di conoscerla, non ci ha mai parlato davvero di lei, delle sue emozioni e dei suoi pensieri.
La sua tata Mona ci parla di lei come una bambina speciale, dolce, ma avvolta da un lato oscuro, però tutte queste definizioni che le vengono affibbiate non sono mai giustificate da fatti concreti.
Lycke era triste perché poco considerata dai genitori, ma perché non aveva amici? Perché a nessuno pareva importare davvero di lei? L'autrice non ce lo dice.
Povera piccola, ho provato una gran pena per lei, una bambina invisibile a cui nessuno ha prestato troppa attenzione, scrittrice compresa.
Penso che la storia sarebbe stata migliore se la Bley avesse dato più importanza alla piccola e a chi le gravitava attorno.
Difatti i capitoli che ho preferito non sono stati quelli che avevano come narratrice Ellen - delle sue opinioni e vicende francamente me ne importava poco - ero più interessata a leggere quelli in cui erano le altre protagoniste a parlare: mamma, matrigna e tata di Lycke, le persone che avevano davvero avuto a che fare con lei.
Purtroppo però i capitoli dedicati a loro sono scarsi di numero e avari di informazioni.
Non sarebbe stato meglio approfondire queste personalità anziché concentrare tutta la seconda parte del romanzo sulla story-line della coppia Ellen-Jimmy?
A mio parere sì, e di gran lunga.
Probabilmente l'autrice aveva più l'intento di dare forma al personaggio della giornalista televisiva (che da quanto ho letto, potrebbe essere protagonista di nuovi romanzi e anche di una serie televisiva), che di dare sostanza e sviluppo al caso.
Dei genitori della vittima, Harald e Helena, sappiamo poco o nulla. Hanno divorziato per incomprensioni, probabilmente lui non l'ha mai amata davvero, ma sposata solo per assolvere ad un dovere, e l'ha mollata pochi anni dopo, in seguito ad una sbandata per Chloé poi diventata la sua seconda moglie.
Helena, dalle poche informazioni che ci vengono fornite, non sembra aver mai superato la cosa, e probabilmente ha sempre continuato a rimpiangere il suo matrimonio prematuramente concluso.
È rimasta insoddisfatta e depressa, pertanto poco incline a dedicarsi completamente alla sua bambina. 
Harald, dal canto suo, si è innamorato nuovamente e ha costruito una nuova famiglia. Come un fedele cagnolino si fa comandare a bacchetta dalla moglie che mal sopporta la sua prima figlia, figlia di cui non prende mai le parti. 
Harald non lotta mai per lei, non la difende, non la protegge dai capricci infantili di quella ragazza viziata che si è preso in moglie.
Entrambi i genitori, come potete vedere, sono criticabili e disprezzabili, soprattutto il padre che ho trovato vergognoso ma, nonostante questo, non ho mai sospettato di loro. 
Chloé è una donna imbarazzante. Viziata, stupida, infantile, dispettosa come lo sono i bambini quando sono colpiti dall'invidia.
Mi ha fatto veramente ribrezzo leggere della gelosia di questa donna per la figlia di suo marito, leggere la differenza di trattamento con la quale si approcciava a suo figlio e a Lycke, ma soprattutto leggere delle parole pronunciate (rivolte al marito, quindi al padre della piccola!) quando vengono a sapere della morte della bambina: "Che impressione sapere che è morta una persona che conosciamo".
Sono rimasta impietrita a sentire definire la sua figlioccia - quel tesoro di bambina bisognosa d'affetto - solo come "una persona che conosceva".
Come può una madre essere tanto insensibile e stupida?
E come può un uomo amare una donna del genere? Amare una donna che ha sempre considerato sua figlia meno che niente.
Non amava la bambina, non la voleva in casa, non la sopportava per il solo fatto che esistesse. 
Solo perché, quella bambina, le ricordava costantemente che il marito aveva avuto una vita e una relazione (un matrimonio a dirla tutta) precedente.
"Be' cara mia è qualcosa che succede se hai una relazione con un uomo sposato! Magari il fatto che avesse già una moglie e una figlia avresti dovuto metterlo in conto prima di diventare la sua amante! Prima di intrufolarti nel suo matrimonio."
Che squallore di donna, davvero. Una perfetta matrigna in stile Cenerentola.
Ho sospettato di lei giusto per pochi secondi, ma la sua colpevolezza sarebbe stata troppo scontata e banale. Quindi ho subito accantonato quest'ipotesi.
Mona è colei che si è presa cura di Lycke dal divorzio dei genitori sino alla sua scomparsa, forse la sola che lo abbia fatto. L'unica che durante le indagini ha confermato di provare un dolore autentico e inconsolabile, l'unica che conoscesse davvero i sentimenti della bimba e quanto si sentisse sola, incompresa e indesiderata.
Così per la regola del "vuoi vedere che il meno sospettabile è il colpevole!?" ho subito dubitato di lei e la comparsa del plaid, a coprire il corpicino della bimba, ha solo confermato i miei sospetti.
E devo dire che ho azzeccato in pieno sia colpevole che movente, ma non per questo ho ritenuto la cosa più sensata.
Innanzitutto ho trovato questa scelta di voler spiazzare a tutti i costi, prevedibile e banale. 
Ebbene sì, perché se la Bley aveva idea di scrivere questo epilogo così drammatico e devastante con l'intento di dare vita al "finale col botto" a mio parere non c'è riuscita, perché come ho sospettato io della dolce tata, credo che lo abbiano fatto e lo faranno in tanti.
Poi non ho per niente apprezzato le motivazioni al gesto, le ho trovate tristi e folli.
Mi è dispiaciuto tantissimo, alla fine, constatare la sfortuna della povera Lycke. Amata da un'unica persona e da quella stessa persona uccisa. 
Può essere dunque considerato amore questo? O solo pura e semplice follia?
Davvero per Mona non esistevano soluzioni alternative all'omicidio?
Che tristezza e che desolazione :(
E desolante è stato anche affrontate tutta le seconda metà della lettura, che come dicevo poco fa, non è più incentrata sul caso, ma sui trascorsi - non del tutto trascorsi - tra Ellen e il suo capo, Jimmy...
E, dato che la storiella, per quanto patetica, occupa gran parte del romanzo non posso esimermi dal parlarvene.
Ellen è reduce dalla scomparsa della sua gemella che ha perso quando aveva otto anni. Esattamente come Lycke. Ed è perciò molto sensibile all'argomento e ancora fortemente turbata da qualsiasi cosa abbia a che fare con la morte.
Jimmy invece è uno sciacallo spietato il cui unico pensiero è rivolto ad innalzare i dati d'ascolto.
Mi chiedo dunque come la scrittrice può aver creato un amore tra due persone che vedono la vita, la morte, e la tragedia in modo tanto differente, e come può anche solo immaginare che sia realistico agli occhi di chi legge.
Come può Ellen, con il peso del suo dolore alle spalle, essere innamorata di un uomo tanto meschino? Dovrebbe provare disgusto per chiunque veda nel dramma della scomparsa di una bambina solo un modo per fare audience e soldi.
Jimmy inoltre era perfettamente a conoscenza del passato di Ellen e non può dunque essere giustificabile l'insensibilità che dimostra nei suoi riguardi. 
Davvero l'autrice pensava che questo millantato amore (assolutamente non manifestato con i fatti) , potesse essere credibile? 
Ho trovato tutta questa storia talmente forzata, da chiedermi se fosse poi così utile ai fini della narrazione. E mi sono risposta di no! Non era affatto necessario inserire una love story in questa lettura, era bensì superfluo e inappropriato.
Come era inutile "impreziosire" la letteratura dell'ennesimo personaggio femminile che si fa sedurre da un emerito idiota.
Sottolineo che l'autrice cerca di salvare in corner la figura di quest'uomo facendogli vestire i panni del povero angioletto, senza macchia, tenuto in ostaggio dalla donna cattiva, che ha ingravidato. 
Ma non ci riesce, anzi! A mio parere lo ha reso solo più vile e codardo (per non dire di peggio).
Per non parlare di Ellen! Mioddiooo l'avrei presa a schiaffi quando, quasi supplicandolo, gli dice "allora non c'è proprio niente che posso fare per salvarti?".
"Ma cretina! Quello ha tradito la sua fidanzata con te! L'ha messa incinta mentre intanto usciva con te, e poi sta a vedere che la cattiva è pure la fidanzata cornuta!"
Ma avrà forse qualche ragione per essere un po' incazzata? O avrebbe dovuto fare come Ellen? La signorina scaricata di punto in bianco che ha avuto talmente tanta paura di chiedere spiegazioni da non essere, dopo un anno, ancora conoscenza delle motivazioni di quella rotura.
Perché? Perché le scrittrici dipingono le loro donne sempre come emerite idiote, quando si tratta di questioni di cuore? Quando cambierà questa tendenza?
Io aspetto...

Ringrazio la casa editrice Newton Compton per avermi inviato una copia cartacea del libro

il mio voto per questo libro 

lunedì 22 febbraio 2016

GIVEAWAY vinci due copie di Dralon + esclusivo segnalibro del Café Littéraire!!!

Salve avventori!
Quello di oggi è un post molto speciale, come potete leggere dal titolo.
Assieme all'autrice M.C. Willems, che approfittiamo per ringraziare, io e Little Pigo abbiamo deciso di offrire a voi lettori l'opportunità di vincere una copia... anzi no, che dico una copia? Ben due copie di "Dralon", il primo capitolo di una trilogia che saprà trasportarvi in un mondo magico, ricco di personaggi fantastici e bizzarri.



Vi assicuro che non resterete delusi da questa lettura, perché Dralon, oltre a narrare una bellissima avventura, è anche un volume molto curato in ogni dettaglio.
Scritto egregiamente e mirabilmente illustrato dalla stessa talentuosa autrice.
Cosa aspettate a partecipare per aggiudicarvene una copia?
Come avrete capito i vincitori saranno due! Ma non ci sarà una prima e una seconda posizione, poiché entrambi vinceranno il medesimo premio, ovvero:

Una copia cartacea di "Dralon" più l'esclusivo segnalibro del "Café Littéraire"!





Per provare a vincere non dovrete far altro che seguire quello che indica la tabella di Rafflecopter qui sotto.
Il giveaway è aperto a tutti i residenti in Italia.

Le prime tre entrate sono obbligatorie, le altre invece facoltative.

Quelle obbligatorie sono:
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♥ Condividere il post su un social a scelta: Facebook, Twitter o Google+ (lasciare il link della condivisione nello spazio apposito indicato da Rafflecopter)
Commentare questo post rispondendo a questa semplice domanda: se poteste scegliere un potere magico quale vorreste possedere? E perché? 

ATTENZIONE: Le seguenti azioni vanno eseguite utilizzando il tabellone qui sotto, perché sarà questo programma a estrarre il vincitore, altrimenti la vostra partecipazione non verrà conteggiata!

Semplice, facile e veloce!
Cosa aspettate?
a Rafflecopter giveaway


Avete tempo fino alla mezzanotte del 20 Marzo per partecipare.
Il vincitore verrà comunicato Lunedì 21 Marzo sulla nostra pagina Facebook!
Cosa aspettate? Partecipate numerosi ^___*


P.S: Se avete un blog inserite il banner dell'iniziativa nella colonna dei widget! Grazie ^__^


sabato 20 febbraio 2016

Recensione: "Nel mio paese è successo un fatto strano" di Andrea Vitali

Titolo: Nel mio paese è successo un fatto strano
Autore: Andrea Vitali
Editore: Salani
Data di pubblicazione: 28 Gennaio 2016
Pagine: 176
Prezzo: 13,90 € (cartaceo) 9,90 (ebook)


Trama:
E se un giorno, svegliandoti, trovassi una nebbia così fitta, ma così fitta, da far sparire il mondo intero? Le cose normali sono belle: è bello sapere che dopo l’estate viene l’autunno, dopo la domenica viene il lunedì, che si nasce, si cresce e si va a scuola. Ma la troppa normalità e l’abitudine rischiano di avvolgere il mondo nell'indifferenza - una nebbia dove nessuno più si accorge della diversità contenuta in tutto ciò che ci circonda: colori, sapori, profumi, emozioni differenti. Un giorno, in un certo paese, succede un fatto strano: la nebbia sale, spessa e bianca come il latte, confonde le cose, le persone e perfino il tempo. Com'è possibile? E come si fa a far tornare tutto come prima? 

Recensione:
Andrea Vitali con lo stile particolare e ironico che lo contraddistingue racconta una storia singolare e surreale, rivolta ai ragazzi, ma non solo.
È un giorno come tutti gli altri, o almeno così sembra, quando la normalità di una cittadina è messa a soqquadro da un fatto molto strano.
Una nebbia bianca e fitta come latte che non lascia veder nulla ad un palmo dal proprio naso, è il primo degli eventi che pare disintegrare la normalità nella quale il paese si crogiolava da tempo.
Perché è questa la premessa con cui l'autore ci presenta questa storia.
La normalità della vita quotidiana ha privato la gente dell'entusiasmo per qualsiasi cosa. Non ci si rallegra più per una bella giornata di sole, non ci si stupisce più per un evento inatteso, non si gioisce più per la nascita di un bambino e non ci si dispiace più per la morte di qualcuno. Tutto è normale, tutto fa parte della vita, tutto è considerato di scarsa considerazione.
Ma la nebbia che improvvisamente cade a celare ogni cosa, ha anche il merito di destare la città dal torpore nel quale era caduta.
Il paesaggio oltre le finestre, quel cielo luminoso, il lago con i suoi colori e profumi, tutto ciò che è sempre stato dato per scontato, verrà rimpianto e desiderato con ansia.
Infatti, passato l'entusiasmo iniziale, e la curiosità per l'evento bizzarro, tutti si vedranno ansiosi di tornare a quella "normalità" che non avevano mai saputo apprezzare.
Riavere la concezione dello spazio, del tempo, e di tutto ciò che appare scontato e certo.
Un messaggio bello che viene però svilito dalla estenuante ripetitività del racconto che, da un certo punto in poi, stanca per il continuo disquisire su quale giorno della settimana sia o non sia (e ciò succede davvero a quasi ogni singolo rigo di ogni singola pagina!).
Un vero peccato, perché l'idea della storia avrebbe potuto dare vita a qualcosa di profondo e piacevole, invece Vitali ha preferito puntare più sull'assurdità delle vicende, dei comportamenti e dei dialoghi dei suoi personaggi, rendendo tutto ancora più bizzarro, incomprensibile e grottesco.

Considerazioni:
È la seconda volta che leggo qualcosa scritta da Andrea Vitali e ancora una volta ho scelto di leggere uno dei suoi racconti per ragazzi, così dopo "Come fu che Babbo Natale sposò la Befana", ho deciso di leggere questo suo ultimo lavoro.
Da questi primi approcci con lo scrittore, posso sicuramente dire che il suo stile è, senza ombra di dubbio, ben distinguibile e originale, inoltre ho trovato non poche similitudini tra i due racconti.
Entrambi giocano molto con dei protagonisti strambi che ragionano in modo anche più strano, e che si trovano coinvolti in situazioni altrettanto inusuali.
"Nel mio paese è successo un fatto strano" racchiude, dunque, nel titolo il miglior aggettivo con cui si potrebbe qualificare questo racconto: strano, appunto.
E' il piccolo protagonista (di cui ignoriamo il nome) a raccontarci la storia, una storia che appartiene al suo passato, di non si sa quanto tempo prima, quando aveva solo dieci anni.
Ed è sempre lui ad accorgersi per primo di quella coltre che va, via via, nascondendo alla vista il mondo tanto noto e inconsapevolmente caro.
E sempre lui, con grande costernazione, scopre la stranezza ancora più grande... i calendari vuoti! Dodici pagine bianche senza giorni e senza mesi.
Come orientarsi in un mondo in cui tutte le certezze sembrano essere scomparse?
Come decidere cosa fare e quando farlo se non si ha la consapevolezza di conoscere che giorno sia e che ora sia?
La riflessione che il testo mi ha spinto a fare è stata appunto questa: "siamo davvero così schiavi del tempo?". 
E' proprio questo pensiero, che la lettura mi ha scaturito, la cosa che più mi ha colpito (e che più ho apprezzato), molto più di quella disgustosa nebbia puzzolente che mutava colore, consistenza e odore di ora in ora.
Certo, non nego che sarebbe orribile e spaventoso svegliarsi un giorno e, di punto in bianco, non poter vedere altro che un colore piatto e vuoto. Sarebbe inspiegabile, angosciante e getterebbe tutti nel terrore e nello sconforto.
Ma non sapere che giorno sia, e che ora sia, quando i nostri giorni sono scanditi da impegni e scadenze quotidiane non sarebbe ancora più orribile?
A mio parere si, ma non per l'assenza in sé per sé di date stabilite, quanto perché questo ci metterebbe di fonte alla triste evidenza: ci farebbe rendere conto di quanto le nostre vite siano imprigionate in schemi stabiliti, e quanto noi stessi potremmo divenire vulnerabili e insicuri se questi venissero a mancare.
Per le riflessioni che mi ha scaturito, potrei dirvi che questo racconto mi è piaciuto molto, purtroppo però dovrò lasciare il verbo al condizionale, perché la storia mi sarebbe piaciuta se fosse stata raccontata in maniera decisamente diversa.
Leggere 170 pagine in cui, da un certo punto in poi, non si fa altro che disquisire su quale giorno della settimana sia è stato sfiancante e noioso, e confesso di aver continuato la lettura solo per la curiosità di sapere come si sarebbe conclusa la faccenda. 
Sostengo a gran voce, però, che tutti quei battibecchi inutili e senza fine, uguali a se stessi, si sarebbero potuti evitare o almeno sarebbe stato preferibile vederli ridotti ai minimi termini.
La storia sicuramente ne avrebbe giovato e assieme ad essa la mia pazienza e, di conseguenza. la mia valutazione.

Ringrazio la casa editrice Salani per avermi inviato una copia cartacea di questo romanzo.

il mio voto per questo libro

venerdì 19 febbraio 2016

Se fosse un film... #3


Salve avventori! 
Eccoci qui con il terzo attesissimo (non so da chi, ma fingo che lo sia XD) appuntamento con questa simpatica rubrica (per la serie: me la canto e me la suono), in cui io e Little Pigo ci divertiamo a dare un volto ai personaggi delle nostre letture.
Questa volta ho provato ad immaginare chi potrebbe interpretare, in un ipotetico film, i ruoli del libro "3000 modi per dire ti amo" di Marie-Aude Murail... ed ecco cosa ne è venuto fuori.

Emma Watson nel ruolo di Chloé Lacouture 

Chloé è una ragazza riservata e timida, seria e molto studiosa. Ha l'abitudine di ritrarsi di fronte alla sue paure piuttosto che affrontarle. Proviene da un ambiente familiare che l'ha sempre protetta e incoraggiata a dare il meglio di sé negli studi. Figlia di due insegnanti, che ovviamente tengono moltissimo al suo rendimento scolastico, Chloé trova spesso difficile far comprendere loro i suoi veri desideri e ambizioni. 
Ho pensato che Emma Watson sarebbe stata a dir poco perfetta per questa parte, perché Chloé in un certo senso ricorda un po' Hermione Granger, studiosa e diligente, così tanto da rischiare spesso di farsi sfuggire dalle mani le grandi occasioni della vita.

Rupert Grint nel ruolo di Bastien Vion 

Ebbene si! Ho deciso di riformare la coppia a cui noi tutte (o quasi) siamo affezionate! Ma credetemi non l'ho fatto per questo, bensì perché mentre leggevo di Bastien non potevo fare a meno che immaginarmi Ron Weasley! 
Bastien è un tipo spiritoso, sempre pronto a scherzare e giocare. Il suo motto nella vita è "faticare meno possibile". Non prende mai nulla troppo sul serio, tranne il suo amore per Chloé, che è deciso a conquistare ♥

Bobby Morley nel ruolo di Neville Fersen 

Ho conosciuto questo attore poco tempo fa, grazie alla serie televisiva "The 100" e mentre leggevo di Neville pensavo a lui, o meglio a qualcuno che fosse sul suo genere. 
Neville è un ragazzo sensibile ma problematico. Apparentemente potrebbe sembrare solo uno sbruffone, il tipico bello e dannato che butta via la propria vita bevendo e commettendo furtarelli. In realtà dentro di lui sono covate paure e sentimenti ben più profondi e impetuosi che, solo attraverso il teatro, il ragazzo riesce ad esternare e dare loro sfogo. 
Nel teatro egli trova non solo una passione, ma anche una ragione per vivere.

James Caan nel ruolo del professor Jeanson 

Per questo ruolo in realtà vi avrei visto benissimo Robin Williams, ma ahimè ho dovuto "ripiegare" su James Caan che sicuramente ricorderete nel ruolo dello scrittore Paul Sheldon nel film "Misery non deve morire", tratto dal romanzo "Misery" di Stephen King. 
Jeanson è un professore di teatro appassionato dei grandi classici. 
 Con le sue lezioni di tecnica teatrale cerca di incanalare la passione dei tre giovani protagonisti verso la giusta direzione. 
 In lui si percepisce la mancanza del palco che ha amato e calcato per troppo poco tempo, e il desiderio ossessivo di voler lasciare un'impronta della sua arte nel mondo.

E voi che mi dite? Avete letto il libro?
Cosa ne pensate del mio cast?

mercoledì 17 febbraio 2016

Recensione: "Melody" di Sharon M. Draper

Titolo: Melody
Titolo originale: Out of my mind
Autore: Sharon M. Draper
Illustrazione copertina: Ken Wong
Editore: Feltrinelli
Data di pubblicazione: gennaio 2016
Pagine: 256
Prezzo: 13,00 € (cartaceo) 8,99 € (ebook)

Trama:
Melody ha una memoria fotografica eccezionale. La sua mente è come una videocamera costantemente in modalità "registrazione". E non c'è il tasto "Cancella". È l'alunna più intelligente della scuola, ma nessuno lo sa. Quasi tutti - compresi i suoi insegnanti e i medici - ritengono che lei non abbia alcuna capacità di apprendimento, e fino a oggi le sue giornate a scuola sono state scandite da noiosissime ripetizioni dell'alfabeto. Cose da prima elementare. Se solo lei potesse parlare, se solo potesse dire che cosa pensa e che cosa sa... Ma non può. Perché Melody non può parlare. Non può camminare. Non può scrivere. Melody sente scoppiare la propria voce dentro la sua testa: questo bisogno di comunicare la farà impazzire, ne è certa. Finché un giorno non scopre qualcosa che le permetterà di esprimersi. Dopo undici anni, finalmente Melody avrà una voce. Però non tutti intorno a lei sono pronti per quello che dirà.

Recensione:
Sharon M. Draper, nelle pagine del suo libro, ci racconta la meravigliosa e toccante storia di Melody, una bambina di undici anni, forte, coraggiosa e molto intelligente. 
La sua mente corre veloce ed è sempre pronta ad apprendere, imparare, memorizzare, come una spugna.
Purtroppo, a causa di una malattia da cui è affetta sin dalla nascita, il suo corpo non risponde ai suoi comandi, e le parole, quei bellissimi suoni che ha imparato a riconoscere e distinguere col tempo, vorticano veloci nella sua mente, ansiose di dar forma a quei pensieri, inespressi, che vorrebbe urlare al mondo.
Ma Melody non può muoversi, e non può parlare, e tutto quel che vorrebbe dire è rinchiuso in se stessa come un eco sordo nella testa.
Nessuno, tranne i genitori e la dolce vicina di casa, la signora Violet Valencia, che spesso si prende cura di lei, crede nelle sue capacità.
I medici che l'hanno visitata negli anni, e gli insegnanti che avrebbero dovuto occuparsi alla sua istruzione, non si sono dati mai troppa cura di comprenderla.
Non sono mai andati oltre il suo handicap, non si sono mai sforzati troppo per capire che dentro a quel corpo, costretto ad un'ingiusta immobilità, fosse imprigionata una persona come, e probabilmente migliore, di molte altre cosiddette "normali".
Melody è la silenziosa portavoce di tutti coloro che, come lei, non possono urlare al mondo il dolore che si prova ad essere considerati invisibili, ad essere ignorati e trascurati, come se dietro all'handicap ci sia solo un disagio e non delle persone, con il medesimo bisogno di affetto, amore e attenzioni di tutte le altre.
Ed è questo uno dei momenti che mi ha toccato di più di tutta la lettura, uno dei tanti a dire la verità, in cui la stessa Melody lamenta il fatto di essere ignorata costantemente da chiunque le passi accanto. 

“Quando il tempo è bello stiamo fuori in cortile. Mi piace guardare i bambini "normali" che giocano a palla mentre aspettano il suono della campanella. Sembrano divertirsi un mondo. Chiedono agli altri bambini di giocare, ma nessuno l'ha mai chiesto a noi. Non potremmo comunque, ma sarebbe carino se qualcuno ci dicesse "ciao". 
Forse pensano che siamo così ritardati che non ci importa di essere trattati come se fossimo invisibili.”

L'indifferenza, l'ignoranza, e anche la cattiveria, sono le caratteristiche dell'animo umano che risaltano in tutto il mondo che circonda la ragazza, in forte contrasto con la forza d'animo, l'altruismo e la determinazione dei protagonisti della storia.
Laddove abbiamo dottori, insegnanti poco professionali e attenti ai bisogni del paziente o allievo, e compagni di classe, con i loro genitori ottusi, sgarbati e sgradevoli, abbiamo anche il coraggio e la determinazione di Melody, la forza della sua famiglia, la generosità della vicina di casa e di quei pochi insegnanti che si interessano davvero a lei, e che cercano modi diversi per capire la bambina, comunicare con lei e aiutarla a sua volta a comunicare.
Sharon M. Draper ci mostra con delicatezza, ma anche con crudo realismo, le due facce della medaglia. Un punto di vista brutale eppure così vero, perché troppo spesso, pur senza cattiveria, siamo portati a dimenticare quanto siamo fortunati nella nostra condizione di persone "normali".
Non pensiamo a quanto le azioni che svolgiamo così facilmente e meccanicamente possano invece costare grande fatica e sforzo a chi è disabile, e a chiunque abbia il compito di occuparsi di loro.
Melody serve proprio a questo. Ci fa ricordare degli altri, ci aiuta un pochino a metterci nei loro panni.
Un romanzo che fa arrabbiare, fa commuovere, fa ridere, e infonde tanta ammirazione per la sua piccola protagonista.
"Melody" è rivolto a chi si volta dall'altra parte, a chi finge, per imbarazzo o per disagio, di non vedere, a quelli che preferiscono ignorare perché non sanno cosa dire o come rivolgersi ad una persona affetta da disabilità.
Be' è la stessa Melody ad aiutarci in questo: basta solo sorridere e salutarla.

Considerazioni:
Quando un libro colpisce così tanto, come Melody ha fatto con me, è sempre difficile parlarne. Trovare le parole giuste per esprimere quanto sia meraviglioso e mi sia entrato nel cuore è quasi impossibile, e io so già che non ci riuscirò, perché quando una cosa ti entra così dentro si fa troppa fatica a parlarne.
Quindi prima di andare oltre in inutili spiegazioni del perché e per come, posso semplicemente dirvi che l'ho amato assieme alla sua protagonista, e che per me si tratta, non solo di una lettura da leggere assolutamente, ma di un tesoro di inestimabile valore.
Ovviamente la prima cosa che colpisce di questo libro (e ne sono sicura, avrà colpito anche voi) è la cover, un'illustrazione dell'artista australiano Ken Wong, bellissima e fortemente espressiva. 
In una semplice illustrazione è manifestato tutto il disagio di non poter esprime se stessi, dell'avere un mondo di pensieri che vorticano nella testa e non poter dare loro voce.
La cover palesa benissimo questa sensazione di oppressione e impotenza, una bimba con la testa immersa in una boccia piena di acqua e pesci rossi. 
Quest'immagine, così evocativa,  non è solo una semplice metafora, infatti la stessa protagonista, ad un certo punto del racconto, paragonerà se stessa al suo pesciolino rosso.
È un giorno particolarmente felice per Melody, che sta ascoltando alla radio alcune delle sue canzoni preferite, quando il suo pesciolino rosso, con un balzo salta via dalla sua boccia e cade sul pavimento.
Melody desidera aiutarlo e gridare aiuto, ma non può farlo e in quel momento si sente esattamente come il muto amico sul pavimento.
D'altronde si è sempre riconosciuta in lui, un piccolo pesce rosso costretto in pochi decilitri d'acqua, probabilmente desideroso di quel mare che non avrebbe mai visto, e in cui non avrebbe mai sguazzato.
E Melody è come lui, costretta in un corpo che la tiene prigioniera, con il sogno di correre, ballare, saltare e urlare.
Perciò, quando il pesciolino è su quel pavimento boccheggiante, Melody non può fare a meno di chiedersi se lui non abbia deciso consapevolmente di mettere fine a quella prigionia. Chi meglio di lei può comprenderlo?
Questo è uno dei passi (uno dei tanti perché questo libro è meraviglioso!!!) che mi ha colpito, come lo ha fatto la parte successiva in cui la mamma di Melody trova il pesce per terra e accusa la figlia di averlo gettato.
Melody ovviamente non può difendersi, non può dire che in realtà avrebbe solo desiderato aiutarlo, non può dirle che ha cercato invano di attirare la sua attenzione, ma che lei è arrivata troppo tardi.
Questa è una delle cose che fa più arrabbiare la protagonista (e che ha fatto arrabbiare tantissimo anche me), una cosa che purtroppo le accade fin troppo spesso, sentire delle accuse o affermazioni a cui non può ribattere.
Le capita con i dottori che, pensando che lei non capisca, le danno della stupida, le capita con gli insegnanti che la considerano una causa persa, le capita con chiunque la incontri e commetta l'errore di ritenerla incapace di intendere.
E se gli adulti non comprendono, è dai compagni di scuola, da coloro che quegli stessi adulti freddi e insensibili hanno educato, che proviene la maggiore discriminazione e cattiveria.
Perché, si sa, i bambini spesso sanno essere davvero spregevoli, e qui lo sono, lo sono nel modo più orribile e disgustoso.
Immaginate quanta rabbia può fare leggere di un bulletto che denigra un suo compagno, e ora immaginate quanta ancora più rabbia fa leggere di quel bulletto che si prende gioco di chi non può neanche ribattere alle provocazioni, ma solo subire.
E ora mettetevi nei panni di Melody e pensate a quanta rabbia può provare una bambina che non ha nessuna colpa per la malattia che l'ha colpita e che, oltre a dover affrontare ogni giorno le singole sfide che la vita le pone (cose che per gli altri non sono altro che semplici azioni quotidiane), deve anche sopportare le angherie dei suoi coetanei.
Melody costretta a sentirsi dare ogni giorno della ritardata, a sentirsi sottovalutata ogni momento senza poter dire e dimostrare che lei è in realtà molto più intelligente di chi le dà costantemente della stupida.
Fa rabbia si, fa molta rabbia.
Ora non voglio raccontarvi tutti gli svolgimenti del libro, e di come Melody troverà il modo di dimostrare a tutti quello che vale realmente, però vi dico solo che è stato brusco, forte e nauseante leggere di tanta indifferenza mista ad ignoranza e cattiveria.
Viene facile, dunque, constatare che Melody sarà anche prigioniera del suo corpo, ma molte persone definite "normali" sono prigioniere della limitatezza dei loro cervelli. 
Melody ovviamente desidera fortemente la normalità, essere come tutti i suoi coetanei, eppure quasi ognuno di loro si è rivelato essere freddo, superficiale, stupido e vuoto. I loro corpi sono perfettamente funzionanti, ma la loro sensibilità e la loro intelligenza emotiva non funziona allo stesso modo.
Ciò ovviamente non significa che per essere persone sensibili e comprensive bisogna necessariamente conoscere sulle propria pelle una determinata situazione. Per fortuna no.
Ma "Melody" servirà perché ci sono fin troppe persone al mondo che pensano solo a se stesse, e forse questa ragazzina farà riflettere, e se porterà a farlo anche solo per poco, anche solo a qualcuno, avrà già compiuto un piccolo miracolo.
Un libro forte e toccante che consiglio vivamente a tutti.

Ringrazio la casa editrice Feltrinelli per avermi inviato una copia cartacea del romanzo.

il mio voto per questo libro

martedì 16 febbraio 2016

I luoghi dei libri #5

Poche e semplici le regole:
♥ Postare la foto di un luogo   
♥ Riportare l'estratto del libro in cui il luogo è descritto
♥ Spiegare il perché di questa associazione
♥ Aspettate i commenti


Salve avventori!
Rieccoci con un nuovo appuntamento di questa rubrica che ha per protagonisti i luoghi letterari che più abbiamo amato.
In questo caso voglio parlarvi del castello di Muircarrie, che fa da ambientazione alla storia narrata ne "Le anime bianche" di Frances Hodgson Burnett.
Del libro vi parlerò meglio nella recensione, posso però dirvi che tra le tante cose che mi hanno letteralmente conquistata meritano sicuramente un posto d'onore le descrizioni suggestive e dettagliate, redatte nell'inconfondibile stile della celebre autrice inglese.
Ne ho scelte per voi due, che ritraggono una brughiera immersa nella nebbia.
In particolare in questa scena si evince il forte legame creatosi tra Ysobel e il paesaggio scozzese che è sempre stato la sua casa.

Passò parecchio tempo prima che fossi abbastanza grande da conoscere ogni dettaglio. Cominciai a capire che la brughiera era diventata in segreto mia compagna e mia amica, che per me non era semplicemente la brughiera ma qualcosa di più. 
Era come una cosa viva - un gigante che giaceva al sole che lo riscaldava, o che si ricopriva di strati spessi e bianchi di nebbiolina, la quale a sua volta di tanto in tanto si contorceva e attorcigliava in spettri. 
All'inizio lo notai e in alcuni giorni mi piaceva anche, forse di più quando era purpurea e gialla, ricolma di ginestre spinose, erica e altri fiori, e il profumo di miele attraeva le api, le farfalle e gli uccelli. Ma ben presto iniziai a vedere e fui attratta da ben altra cosa. 
Non ricordo quanti anni avessi quel pomeriggio quando mi sedetti sul largo davanzale della finestra e intravidi un basso, soffice candore strisciare fuori e librarsi sopra l'erica, quasi come se la brughiera lo avesse respirato. In un primo momento mi parve simile a nebbia bassa; strisciava e avanzava lentamente fino a quando si trasformò in qualcosa di più denso e più bianco, e incominciò a nascondere l'erica, il ginestrone e la ginestra spinosa prima, e poi anche i giovani abeti bassi. Salì ancora e ancora, e, in alcuni frangenti, un alito di vento lo piegava in strane forme, quasi dall'aspetto simile a creature umane. Si aprì e si richiuse, poi si trascinò, strisciò e divenne ancora più spesso. E quando premetti il viso contro il vetro della finestra, salì ancora più in alto, si impadronì della brughiera e la nascose, sospeso, in tutta la sua pesantezza e il suo pallore, come fosse in attesa. 
Questo è ciò che mi venne in mente da bambina: che aveva fatto ciò che la brughiera gli aveva detto di fare; aveva nascosto tutto ciò che voleva essere celato, restando poi in attesa.

In questo secondo passaggio la brughiera diventa invece una pittoresca cornice per una gradevole passeggiata a due, quasi un segreto da condividere solo con chi sa vedere oltre le apparenze. 

La brughiera esibiva il suo lato più misterioso quando mi svegliai l'indomani mattina. 
Era molto presto, e si era nascosta nelle sue più soffici nevi di bianca e avvolgente foschia. Solo qua e là la cima di qualche scuro abete faceva capolino sopra di essa, e di tanto in tanto il candore si diradava, fluttuando altrove. Era come avrei voluto che la vedesse, esattamente come desideravo apparisse mentre vi camminavo con lui. 
Ci eravamo incontrati all'ingresso come avevamo programmato, e, avvolti nelle nostre mantelle perché l'aria del primo mattino era piuttosto fredda, uscimmo a passeggiare insieme. Non avrei mai immaginato potesse esistere un tale sentimento di amicizia e affetto nel mondo. Non sarebbe stato necessario per noi parlare se avessimo voluto rimanere in silenzio. Avremmo potuto farlo anche senza parole. Ma abbiamo conversato durante la nostra escursione, a voce bassa - una voce che sembrava resa ancor più smorzata dalla nebbia - di cose silenziose a cui tali voci sembravano appartenere. 
Attraversammo il parco fino a raggiungere una scaletta utile a superare la muraglia, lungo un sentiero che conduceva subito alla brughiera. Una zona del parco stesso un tempo faceva parte della brughiera, ombrosa con abeti sottili e spessi cresciuti assieme all'erica e alla ginestra. Nella brughiera la nebbia era diventata più spessa, e se non avessi imparato così bene il percorso, sicuramente avremmo finito per perderci. 
Conoscevo a memoria alcuni piccoli corsi d'acqua che gorgogliavano emettendo suoni che ci facevano da guida, e che erano talvolta rumorosi sussurri, talvolta balbettii canterini. 
L'umido, dolce profumo delle felci e dell'erica ci penetrava nelle narici; mentre ci arrampicavamo, riuscivamo a respirarne la freschezza. 
«V'è una sorta di bellezza ultraterrena in tutto questo», disse Hector MacNairn. 
La sua voce assomigliava un po' a quella di sua madre. Sembrava sempre dire molto di più di ciò che le parole esprimevano. 
«Potremmo essere fantasmi», risposi. «Potremmo essere tra quelli che la nebbia nasconde perché a loro piace essere nascosti.»