mercoledì 2 agosto 2017

Estratto: "Bambole giapponesi" di Rumer Godden

Salve avventori!
Oggi voglio condividere con voi un passo tratto da una delle mia ultime letture, ovvero "Bambole giapponesi" di Rumer Godden.
Come avrete letto dalla recensione, ciò che mi ha colpito di più di questo libro è la straordinaria umanità, conferita alle due bambole venute dal Giappone.
Ne è esempio la scena qui riportata, in cui Felicità e Fiore sono in viaggio verso la loro nuova (e sconosciuta) destinazione. Non sanno chi troveranno ad aspettarle, possono solo sperare che sia qualcuno disposto a prendersi cura di loro.

Non so dove avessero trascorso tutta la vita, ma all'inizio di questa storia furono avvolte nell'ovatta e nella carta velina, infilate in una scatola di legno chiusa con un nastro rosso e bianco, poi avvolte ancora in carta marrone, su cui erano stati incollati un'etichetta e diversi francobolli, e infine spedite da San Francisco, in America, verso l'Inghilterra. Non credo che qualcuno avesse chiesto loro se volevano partire: nessuno fa domande alle bambole. 
"Dove ci troviamo adesso?" chiese Fiore. "È un altro paese?" 
"Penso di sì" disse Felicità. 
"È strano e freddo. Lo sento dalla scatola" disse Fiore, e gridò: "Nessuno ci capirà, nessuno saprà cosa vogliamo. Oh, nessuno ci capirà mai, ancora una volta!" 
Ma Felicità era più ottimista e più coraggiosa. "Penso di sì, invece" disse. 
"E come potranno?" 
"Perché ci sarà qualche bambina gentile e intelligente." 
"Ci sarà, eh?" chiese Fiore con desiderio. 
"Sì" 
"Perché ci sarà?" 
"Perché ce ne sono sempre state" disse Felicità. 
Fiore ebbe lo stesso un piccolo brivido da bambola, che vuol dire che si sentì come se stesse tremando anche se non si vedeva. Fiore era sempre spaventata; forse il bambino che le aveva scheggiato l'orecchio era stato brutale. 
"Vorrei che non fossimo venute qui" disse Fiore. 
Felicità sospirò e disse: "Nessuno ce l'ha chiesto" 

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