martedì 3 giugno 2014

Recensione: "Quando dal cielo cadevano le stelle" di Sofia Domino

Titolo: Quando dal cielo cadevano le stelle
Autore: Sofia Domino
Canale di distribuzione: Lulu
Data di pubblicazione: 27 Gennaio 2014
Pagine: 496
Prezzo: 1,99 € (solo eBook)

Trama: 
Lia ha tredici anni. È una ragazzina italiana piena di sogni e di allegria, con l’unica colpa di essere ebrea durante la Seconda Guerra Mondiale. Dall'emanazione delle leggi razziali la sua vita cambia, e con la sua famiglia è costretta a rifugiarsi in numerosi nascondigli, a sparire dal mondo. Da quel mondo di cui vuole fare disperatamente parte. Passano anni di paure e di speranze, come quella più grande, la speranza che presto la guerra finirà. Ma nessuno ha preparato Lia alla rabbia dei nazisti. 
Il 16 ottobre 1943, la comunità ebraica del ghetto di Roma viene rastrellata dalla Gestapo e i nazisti le ricorderanno che una ragazzina ebrea non ha il diritto di sognare, di sperare, di amare. Di vivere. Lia sarà deportata ad Auschwitz con la sua famiglia, e da quel giorno avrà inizio il suo incubo. 

Recensione:
Sofia Domino in questo romanzo racconta attraverso gli occhi di Lia, una tredicenne ebrea, gli orrori della guerra e il logoramento causato del vivere ogni giorno nascosti, con la paura di essere scoperti.
Nascondersi, è questo che gli Urovitz, e altre famigli ebree, sono costretti a fare, perché, come unica colpa, hanno solo quella di essere nati in un mondo sbagliato, un mondo fatto di uomini che approvano le leggi razziali, che inneggiano all'elevazione della razza e desiderano lo sterminio di chi ritengono a loro inferiore.
Così, un giorno che sembrava come tutti gli altri, si trasforma nell'inizio di un incubo per Lia che, quel pomeriggio, non desiderava altro che di andare in biblioteca.
Da ragazzina di dieci anni piena di vita, di speranze e di sogni, Lia si vedrà costretta ad abbandonarli per essere rinchiusa in una cantina, senza più avere la possibilità di guardare il cielo e sentire il calore del sole sulla pelle o vedere lo scintillio delle stelle nelle calde notti estive.
Per tre anni Lia vive segregata in quella cantina, assieme a sua nonna Myriam, i suoi genitori Daniele e Giuditta e i suoi fratelli Tommaso, di due anni più grande, e il piccolo Chalom di soli cinque anni.
Esperienze, sogni, aspirazioni, tutto viene messo in stand-by, congelato dalla guerra e dalla reclusione.
Passano i giorni, i mesi e gli anni, fatti di giornate monotone, rese vive soltanto dall'alternarsi di paura e sollievo.
La speranza di sentire dalla radio buone notizie, la fine della guerra, ricominciare a vivere, riprendere tutto da dove lo si era lasciato e andare avanti, lasciandosi la cantina e le sua prigionia alle spalle, questo è quello che spinge Lia ad andare avanti.
Il libro in questa prima parte risulta un po' pesante, proprio a causa della monotonia delle giornate che si susseguono senza differenziarsi le une dalle altre, se non per quei pochi particolari, che in un'altra storia sarebbero irrilevanti, ma qui, rinchiusi in una cantina, tutto, anche mangiare dei fagiolini anziché dei pomodori è fondamentale.
Il racconto diventa quasi logorante, così come logorante è la vita all'interno del rifugio sotterraneo. 
L'autrice in questa descrizione è stata molto brava, è riuscita a far percepire al lettore l'estenuante susseguirsi dei giorni, il caldo opprimente, l'angosciante sensazione di non sapere cosa accade fuori e l'incognita sul futuro.
Siamo solo noi con quei pochi personaggi che vivono nel rifugio e i conoscenti che di tanto in tanto gli fanno visita.
Con pochi particolari l'autrice ci presenta e delinea la personalità di ognuno.
I componenti della famiglia, seppur vivendo la medesima situazione, l'affrontano in maniera diversa, ognuno con il proprio punto di vista.
I genitori sono i più pessimisti, soprattutto la mamma, Giuditta, è quella più irritata dalla situazione, non crede, non spera, non si illude.
La nonna Myriam ha la saggezza e la speranza di chi è già sopravvissuta ad una guerra e conosce già, perché l'ha vissuta sulla pelle, sia la sofferenza che la gioia della liberazione.
Lia è la gioia di vivere, colei che vede sempre positivo e che cerca di tirare su il morale a tutti, una specie di Pollyanna che ci tiene a ricordarci che la vita è bella, nonostante tutto.
Tommaso riflessivo e solitario, si rifugia nei ricordi della sua prima storia d'amore, interrotta troppo presto a causa della guerra.
Chalom è l'innocenza, un bambino che ingenuamente si chiede perché non può più giocare all'aperto, e che con la tipica curiosità dei bambini pone imbarazzanti domande a cui nessuno riesce a dar risposta: 

"Verso sera, quando l’aria sembrò leggermente rinfrescarsi, Chalom fece una domanda che spiazzò tutti quanti: 
- Papà – chiese il bambino con grande serietà - gli ebrei valgono quanto i cani? – 
Se durante il giorno Daniele aveva cercato di non agitarsi per non sudare, a tale domanda avvampò: 
Che cosa hai detto? – 
Lia si voltò verso Chalom, trattenendo il respiro. 
- Ho chiesto se gli ebrei valgono quanto i cani – ripeté il bambino, con leggerezza - 
stanotte ho sognato i cani e secondo me sono uguali a noi ebrei –. 
- Non riesco a crederci – abbozzò un risolino nervoso Giuditta,
- Come mai hai fatto questi pensieri, tesoro? – domandò Myriam al nipotino, -
 Gli ebrei non possono entrare in tanti negozi – rispose Chalom – e neanche i cani possono farlo. Mamma, papà, noi ebrei valiamo quanto i cani? –"

Una critica che posso fare alla narrazione, in questa prima parte, è la presenza di troppe nozioni storiche, presentate queste, non come un dialogo naturale tra persone che si incontrano e parlano di ciò che succede loro intorno, ma a mo' di lezione letta da un volume di storia.
Ciò risulta evidente soprattutto quando il piccolo Chalom fa delle domande come "chi è Hitler?" e "cos'è il nazionalismo?", parole che è abituato a sentire dagli adulti che gli stanno attorno, e le risposte che gli vengono date sono decisamente pretenziose per un bambino di cinque anni.
Paiono più una lezioncina data al lettore per dimostrare la propria preparazione.
Anche l'aggiunta della radio all'interno del rifugio pare il pretesto per poter inserire ancora di più il contesto storico, tramite i vari annunci e le varie trasmissioni.

"Che cos’è il nazionalismo? – 
- Il nazionalismo sostiene il concetto d’identità nazionale e di Nazione - 
- Anche l’antisemitismo dovrebbe preoccuparti, Chalom – soggiunse Myriam, con un filo di voce. 
- Perché? – 
Myriam provò ad aprire bocca per spiegarglielo, ma semplicemente non ci riuscì. 
- L’antisemitismo racchiude le leggi e i comportamenti discriminatori nei confronti di noi ebrei – gli spiegò allora Lia, con indignazione, poi aggiunse – fortunatamente Mussolini non ha dato ordini ai dirigenti del partito fascista di eliminarci, al contrario di Hitler. Mussolini ripete spesso: “ discriminare e non perseguitare” –. 
- D’altronde Hitler è nazista, mentre Mussolini è fascista – intervenne Daniele – siamo fortunati che Hitler sia lontano da qui. Non posso negare che Mussolini abbia fatto del bene alla nostra Nazione, se non parlo di ciò che sta facendo a noi ebrei. Fortunati quegli ebrei che possono ancora avere il loro piccolo negozietto, nascosti da tutto e da tutti. Io non posso più lavorare... - 
- Hitler toglie tutto agli ebrei – osservò Giuditta con voce tremante - ogni diritto civile e umano. Dal 1938 Mussolini si è alleato con Hitler, quindi anche lui ci odia, anche se non parla mai di campi di lavoro. Ma dal ’40 è cambiato tutto, da quando è stata organizzata l’espulsione degli ebrei..."

A rompere la ripetitività del racconto subentra la novità della corrispondenza tra Lia e Hadas Biach, un ragazzo ebreo, anche lui nascosto con la sua famiglia per sfuggire alle leggi razziali.
Tramite una vecchia macchina da scrivere, ha inizio un'amicizia profonda grazie alla quale i due ragazzi sfogano le proprie ansie, e confessano i propri sogni nascosti, quello di Lia, diventare una dottoressa e curare i malati per il mondo, e quello di Hadas, diventare un giornalista.
Ma la guerra non accenna a terminare, e Roma, la città santa, quella che si credeva essere sicura, viene bombardata dalle armate anglo-americane.
Daniele si vede costretto a lasciare la cantina per cercare fortuna in altre città meno esposte, e poco dopo la sua famiglia fa lo stesso.

E anche sulla fuga di Daniele, mi sono chiesta quale fosse l'utilità e ho supposto si trattasse solo di un modo come un altro per animare la narrazione.
Egli infatti va via per cercare fortuna, ma quando è via non sembra mai accennare al fatto che la famiglia possa prima o poi raggiungerlo.
Inoltre se Myriam (la nonna), non era nelle condizioni di viaggiare prima dei bombardamenti, perché dovrebbe poterlo fare dopo, quando è tutto più pericoloso?

La successiva alleanza dell'Italia con gli Americani segna per gli ebrei Italiani l'inizio della fine, e proprio quando Lia, Hadas e le rispettive famiglie sono rifugiate nel monastero dei Crescenti, vengono costretti, prima alla fuga, e poi catturati dai soldati tedeschi.
Da qui il racconto si fa cruento e straziante.
Un viaggio interminabile, svolto in condizioni precarie e disumane, porta i deportati nei campi di Auschwitz-Birkenau, dove vengono torturati, umiliati nel peggior modo possibile.

"In cortile avvenne l’ultima fase d’iniziazione. Le prigioniere si ritrovarono nuovamente ammassate, ma quantomeno adesso il freddo era più sopportabile e, nonostante la fame, la stanchezza dovuta al viaggio degradante e a ciò che avevano subìto dall'arrivo al campo, la maggior parte di loro si sentì nuovamente più forte. 
In che cosa sarebbe consistita l’ultima fase d’iniziazione? 
Lia non riuscì a capirlo subito: spesso era distratta poiché, a ogni urlo o percossa, si voltava a guardare quello che succedeva, pregando per ogni prigioniera. Solo dopo un po’ di tempo apprese che, a breve, non avrebbe avuto più un nome. 
Ogni prigioniera fu costretta a farsi tatuare un numero sul braccio sinistro, e i soldati spiegarono che quel numero sarebbe dovuto essere cucito anche sulla casacca di ogni detenuta. 
- Ci faranno altro male... - sussurrò Giuditta, con un filo di voce. 
Spinte dai vari militari, le donne furono costrette a farsi tatuare. Non fu fisicamente doloroso, ma lo fu psicologicamente. 
Lia guardò una specie di penna incidere i vari numeri sulla sua pelle. Fu un lavoro veloce ma lei si sentì marchiata come una bestia. 
Poco dopo Lia Urovitz non esisteva più: adesso esisteva la prigioniera numero 76903."

La resistenza e la voglia di vivere di Lia sono commuoventi, la ragazzina supera ogni punizione, ogni umiliazione, ogni perdita con una forza e una dignità che non possono non lasciare il segno.
Anche quando è stremata, anche quando lasciarsi morire sembrerebbe la scelta più facile, Lia resiste per chi non ce l'ha fatta, per i suoi sogni, per la sua voglia di vivere, per il desiderio di riprendersi quella libertà che le è stata strappata con violenza senza nessuna ragione.
Lia resiste per guardare ancora una volta il cielo e farlo senza provare paura.
Un libro assolutamente non leggero, dettagliato, preciso nella narrazione dei fatti e per questo ancora più straziante.
Fa arrabbiare e fa pensare.
Un libro che non si può leggere con indifferenza e che sicuramente vi resterà nel cuore, come nel cuore vi resterà Lia e ogni membro della sua famiglia.

Considerazioni:
La realtà supera la fantasia, e spesso tendiamo a dimenticarlo.
Ricordo che quando qualche mese fa descrissi la trama della saga "Hunger Games" ad una mia amica, lei mi disse: "Perché tanta cattiveria? Non è possibile".
E invece lo è purtroppo, lo è stata e lo è tutt'ora, solo che spesso tendiamo a dimenticarlo, perché pensare sempre alle brutture della vita ci impedirebbe di vivere.
E mentre leggevo questa storia non potevo fare a meno di pensare, come faccio ogni volta che mi soffermo su questa terribile pagina della nostra storia, a come sia possibile che un tale scempio sia potuto succedere senza che nessuno lo impedisse.
La crudeltà a cui l'uomo è capace è una cosa che fa rabbia e che non si può accettare, e leggendo queste pagine ho davvero provato la sensazione dell'odio.
Io non sono per la pena di morte, davvero, ho sempre sostenuto, invece, la teoria del "se tu uccidi non sei meglio di loro", ma la rabbia che ho provato leggendo della cattiveria, delle torture, delle derisioni che le SS praticavano nei confronti dei prigionieri, mi ha fatto rivalutare tutte le mie convinzioni.
E in quel caso si, lo ammetto, li avrei voluti tutti morti.
Anzi, li avrei voluti veder soffrire nello stesso modo in cui hanno fatto soffrire quegli innocenti, torturati, derisi, privati del cibo, delle vesti, della dignità.
Fargli soffrire la fame, il freddo, fargli sentire la paura, farli sentire impotenti e insignificanti.
Lia non mi abbandonerà mai, e con lei sua nonna e il suo fratellino, come non mi abbandonerà la convinzione che il mondo è di tutti, e nessuno sceglie come e dove nascere, nessuno dovrebbe essere punito per questo e tutti hanno il diritto di sognare e di vivere.

Considerazione Spoiler!
Se non hai letto il libro e hai intenzione di farlo fermati qui!
Quello che più mi ha colpito leggendo queste pagine è stata la forte voglia di vivere che caratterizza il personaggio di Lia.
Un ottimismo e una forza d'animo tali, da apparire quasi irreali e assurdi, soprattutto in una situazione così tragica e senza speranza.
Nessuno nelle circostanza in cui si trovava Lia sarebbe riuscito davvero ad affermare che la vita è bella, e come avrebbe potuto? Ma Lia lo fa, Lia spera perché vuole tornare a vivere quella vita che ha lasciato, vuole essere libera e vuole avere il tempo per realizzare i suoi sogni.
E' questo che le dà la forza di sopportare e di sperare.
E proprio per questo ho trovato inutilmente crudele far morire Lia proprio il giorno stesso in cui arrivano le truppe alleate a liberare il campo in cui era prigioniera.
Insomma quella poverina ha sopportato di tutto! Ha visto i suoi cari morire uno ad uno, ha subìto le peggiori umiliazioni e come ulteriore beffa non può nemmeno assaporare la libertà tanto agognata.
Basti pensare che tra settanta prigioniere rimaste tutta la notte in ginocchio, sulla neve, al freddo, solo lei e altre cinque, sono sopravvissute.
Ha superato tutto perché lei non voleva arrendersi, perché non desiderava altro che vivere!
E poi cosa fai? Me la uccidi proprio quando doveva essere liberata? No, io non ci sto! L'ho trovata una crudeltà inutile.
Se l'intento era di ucciderla per creare il finale scioccante le si poteva far prima capire di essere stata liberata, in modo da farla almeno morire da persona libera T^T

il mio voto per questo libro


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